Selezione testo per la Notte Nazionale del Liceo Classico - testo di Matilde Sapuppo IIF


Quella mattina, come sempre, stavo andando a scuola. Ma la solita strada, le solite case, i soliti negozi, era come se non li ritrovassi più. Uomini in chitone o in clamide e donne in lunghi pepli mi camminavano accanto. Persino l’aria era diversa, un odore fresco inondava il mio viso e guardandomi intorno notai come Agrigento fosse rigogliosa e verdeggiante, immersa in un paesaggio che mai avevo visto, neppure durante le primavere più belle.
Pensavo fosse un sogno, tentai con i vecchi trucchi, strofinandomi gli occhi e dandomi dei forti pizzicotti, ma nulla: non stavo sognando. La mia casa era sparita dietro le mie spalle, davanti a me il vecchio cinema del Signor Lupo era stato sostituito da un venditore ambulante di ortaggi, la strada sotto i miei piedi era di un giallo intenso, un brillante color oro che solo in un luogo ad Agrigento capitava di vedere: presso la Valle dei Templi. Guardandomi intorno vidi la mia città totalmente mutata, e nonostante tutto potevo ancora riconoscerla, dall’abbigliamento delle persone, dalla loro lingua, dallo stile di certi edifici: chissà come e chissà il perché, ero stata trasportata alle origini di tutto, in quell’antico splendore che avevo conosciuto soltanto attraverso i libri… la mia Agrigento era tornata la Akragas di un tempo.
Non sapevo cosa fare, normalmente a quell'ora sarei dovuta essere già a scuola, così cercai di orientarmi nella “non del tutto nuova” Akragas; dovetti scartare immediatamente l’idea quando mi accorsi di come le strade non fossero più quelle del mio mondo, il piano urbanistico era completamente diverso e dove prima io sapevo vi fosse la strada del Liceo che sovrastava la stazione dei treni, non c’era altro che verde; ciò che però attirò la mia attenzione fu in lontananza la Valle dei Templi: più bella e maestosa che mai.                    Non sapevo cosa fare, come tornare nella mia epoca, ma non ero impaurita, bensì affascinata da quel mondo che tante volte avevo immaginato e su cui avevo fantasticato, e adesso ero lì, avevo la possibilità di scoprire se tutto ciò che vi era scritto nei libri di scuola fosse vero, di trovarmi a contatto con  un popolo da cui anche io discendevo, di poter vivere la mia città nel suo antico splendore, ammirando le grandi ricchezze di un tempo e ascoltando i canti, i miti che avevo avuto modo di studiare.
Mi sentì come invasata, in preda all’emozione decisi che il primo luogo che dovevo visitare fosse proprio la Valle, così cercai di capire come poterla raggiungere a piedi, ma l’impresa non sembrava essere facile e per via delle varie collinette che si interponevano fra me e la mia metà, non riuscii a scorgere un percorso. Ad un tratto i miei pensieri furono interrotti dalla voce di un ragazzo che non lontano da me gridava a gran voce appoggiato ad un carretto di legno cui era legato un asino; inizialmente non compresi le sue parole, ovviamente parlava il greco, ma poi riuscii a riconoscere i termini “vaos”, che significa “tempio”, e “Baiveiv”, che generalmente significa “andare”. Mi precipitai verso il giovane e così fecero anche altre persone: per un attimo temetti che il ragazzo volesse una ricompensa e non avendo ovviamente con me drachme non avrei potuto pagarlo ma poi, con mia grande sorpresa, un signore, con indosso un mantello grigio un po’ stropicciato che gli copriva il volto, mi pagò volontariamente il passaggio, senza che io avessi fiatato.
Per tutto il tragitto non smisi di stupirmi dinanzi a ciò che vedevo: una civiltà antica viveva davanti ai miei occhi, bambini giocavano per strada solo con qualche sassolino, senza sapere nemmeno cosa potesse essere uno smartphone, dalle finestre delle case si intravedevano le donne, intente nel compiere le faccende domestiche, e lungo la strada uomini armati di bisacce, seduti su di un masso o per i muretti, raccontavano ai passanti i miti degli eroi, delle costellazioni, e quelli cosmogonici sull’origine dell’universo.
Un pensiero però tormentava la mia mente: perché quello sconosciuto aveva pagato al posto mio? Non trovavo una risposta al riguardo e nel frattempo cercai di intravedere il suo volto, il quale però rimaneva coperto dal mantello che lo copriva quasi completamente. Improvvisamente mi sentii a disagio e mi accorsi di tutti gli sguardi che mi fissavano con aria smarrita, come se avessero davanti un alieno; effettivamente per loro potevo esserlo perché al contrario di una tipica ragazza greca io indossavo dei jeans, una maglietta e un paio di Converse che di certo erano ben lontane dai loro calzari in cuoio.
Il carretto arrivò a destinazione e l'uomo col mantello  iniziò a parlare di cicli cosmici, di amore e odio come se fossero due divinità. Capì che si trattava di Empedocle e, stranamente, io riuscivo a capirlo: parlava in italiano! Subito lo interruppi, dovevo sapere il perché! Dovevo capire come tornare a casa! Quale relazione c'era tra me e il filosofo? Non sapevo ancora che il mio viaggio non avrebbe avuto breve termine…