DUE DONNE



DUE DONNE
Racconto di Paola Alletto 
Classe II Sez. C

Provo una emozione fortissima guardandola in televisione, impettita e compunta, tra i grandi elettori mentre il presidente della camera pronuncia il suo nome invitandola a votare per la elezione del nuovo capo dello Stato.
Elena. La mia piccola Elena, prima deputato donna del parlamento repubblicano. Se solo sua nonna, Elena come lei, il mio angelo, fosse presente. Ma da lassù starà certamente godendo con gioia di questi momenti così solenni per la libertà degli italiani a cui anche il suo sacrificio ha dato il suo contributo.
Non si sono mai conosciute queste due donne ma per me è come trovarmi di fronte la stessa persona, anche la somiglianza è incredibile, nell’aspetto e nel carattere.
Forti e combattive entrambe, innamorate della libertà al punto di sacrificare o consacrare la vita per essa.
Se, oggi, questa mia nipote partecipa dei diritti di libertà di questo nostro paese uscito martoriato nel corpo e nell’anima da una guerra sanguinosa cercando di ricucire le ferite di una lotta fratricida che ha avvelenato il sangue dei fratelli è anche grazie al sacrificio di donne come la mia Elena.
Faceva un gran freddo nel marzo del ’45 sui monti siciliani e la brigata Felix che comandavo era composta da venti partigiani stremati dai combattimenti, dalla fame, dal dolore per i compagni uccisi dai tedeschi.
Quello che faceva più male era scoprire le fosse comuni colme dei corpi di donne, vecchi e bambini trucidati dalle SS per rappresaglia nei nostri confronti. La pena infinita ma anche il senso di colpaper quell’orrore alimentavano l’odio soprattutto nei confronti degli italiani, nostri fratelli, che avevano scelto di stare dalla parte dei carnefici.
Avevamo già due figli piccoli ed un terzo dormiva nel grembo di Elena inconsapevole del fatto che non avrebbe mai visto la luce dell’Italia libera.
Nonostante la gravidanza avanzata non aveva rinunciato alla sua attività di staffetta tra noi e il comando anglo americano, inerpicandosi sui monti tra la neve anche carica di vettovaglie che spesso ci avevano salvato dalla morte per inedia.
Quella maledetta mattina si accorse della colonna della Wermacht che saliva dritta verso di noi. Più di cinquanta uomini ben armati che avrebbero fatto strage di pochi partigiani malvestiti, denutriti e con poche munizioni.
Non si perse d’animo e correndo per sentieri acquitrinosi, i piedi feriti dai sassi che dilaniavano le suole di cartone, giunse al nostro campo per avvisarci in tempo del pericolo.
La misi in sella ad un mulo non accorgendomi nella fuga precipitosa del sangue che le imbrattava i lembi dell’ampio cappotto.
Morì tra le mie braccia all’interno di una chiesetta diruta ai piedi di una Madonna con il Bambino che pregò fino all’ultimo respiro lasciandomi in bocca il primo “amen” di una preghiera che non avevo mai recitato.
Ho marciato su Milano liberata con mezzo cuore colmo di gioia e l’altra metà morta in quella chiesetta sperduta tra le neve dei monti sicani.
Il frutto di quel sacrificio lo vedo oggi nella figlia di nostro figlio che combatte per dare compimento a questa democrazia bambina, per il riconoscimento della parità tra uomini e donne.
Me le ricordo, dopo la grande guerra e ai tempi del fascismo, interminabili file di donne pietire lavori pesanti e mal pagati, sottomesse, specie se mamme, agli istinti bestiali di padroni senza scrupoli e di gerarchi fascisti che preferivano le fanciulle.
Dopo la guerra lasciai il lavoro di insegnante di latino per dedicarmi al sindacato e nel ricordo e con la forza di quelle donne e della mia Elena ho continuato a lottare perché la libertà ottenuta a quel prezzo altissimo di sanguefosse di tutti e per tutti.
Così non ho ostacolato il desiderio della mia piccola Elena di far politica. Avrei preferito facesse l’insegnante come me e come sua nonna. Una vita tranquilla tra le mura della scuola e quelle di casa.
Ma troppo spesso ho visto nei suoi il lampo degli occhi della nonna e così l’ho lasciata libera di costruire la libertà.
Torno spesso a trovare la mia Elena in quel minuscolo cimitero dietro la chiesetta sui monti. 
Le racconto dei nostri figli e di questa nipote che tanto le somiglia.
Chiedo perdono per me e per i fratelli che hanno ucciso i fratelli.

Tra il frinire dei grilli ed il soffio del vento, sento le voci di felicità dei gitanti, i sorrisi dei bambini che corrono sui prati rivestiti di primavera ebbri di libertà e recito l’amen di quella preghiera che ho finalmente imparato.